Chi da porta Medina va alla piazza della Pignasecca trova suo fianco sinistro un compreso di fabbriche posto fra due strade, l’una detta Nuova dei Pellegrini, l’altra Vico Pellegrini. Nel mezzo della faccia di questo compreso è un cancello per cui si vede nel fondo una chiesa.
Nel XVI secolo su di un pezzo di suolo di Fabrizio Pignatelli, un amenissimo giardino detto bianco mangiare, col vezzo napolitano che tutto ravvicina a’ diletti del palato, fu dato principio alla fabbrica della chiesa de’ Pellegrini ed a quella d’uno spedale. A Camillo Duca di Montelelone fu dato nel 1582 di concedere l’ospedale e la chiesa alla Arciconfraternita della SS. Trinità. Alla chiesa si ascende per una scala doppia a due branche per ciascun braccio, apresi la porta in mezzo a due grandi statue di stucco: S. Gennaro e S. Filippo Neri. Mostrasi adorna di quattro scanalati pilastri corinti e di triangolar frontespizio con dentro il raggiante triangolo della Triade circondato di Angeli.
L’antica chiesa del 1339 fu dei Frati Eremitani di Sant’Agostino. È detta la strada a Carbonara perché quivi anticamente si facevano i carboni.
La chiesa, nel 1400, fu restaurata dal Re Ladislao, ove egli morendo fu seppellito. Per sotto al sepolcro del re si va alla Cappella Caracciolo del Sole. Quivi fu sepolto Sergianni Caracciolo, noto per i favori che godeva alla Corte di Giovanna II e per l’infelicissima sua fine voluta dalla Duchessa di Sessa, la quale lo fece pugnalare. Di poi si incontra la cappella dei Caracciolo Rossi che eccede di magnificenza su ogn’altra che sta nella città di Napoli, tra i più valenti scultori nacque nobile gara a chi potesse far miglior opere.
Nella sagrestia sono custoditi diciotto quadri che rappresentano storie del Testamento Vecchio con begli ornamenti di mosaico di marmo opere dell’immortal Giorgio Vasari.
Chi dalla memorabile piazza del Mercato di Napoli si immette nella via che s’apre a libeccio di essa, incontra San Giovanni a Mare.
In antico la chiesa era fuori la città, dove il mare ne lambiva quasi le mura.
Sul quando e su chi l’avesse edificata non concordano coloro che studiarono siffatte cose. Sicuramente era l’epoca dei Normanni quando fu annessa all’ospedale di San Giovanni, eretto dai cavalieri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, che accoglieva i crociati di ritorno dalla Terra Santa.
Le arcate in stile normanno sono sopravvissute nel tempo. Le tre navate con volte a crociera e archi acuti sono di scuola amalfitana.
Eravi d’appresso a Palazzo Cuomo un’antica chiesa col titolo di S. Maria a Selice, la quale verso la metà del secolo XV, quasi abbandonata e diruta, fu da alcuni devoti nel 1448 riedificata e dedicata a San Severo vescovo di Napoli. Nel 1575 fu concessa ai frati domenicani che la riedificarono col disegno di Giovan Battista Conforto. In questa chiesa, nella crociera a dritta dello spettatore, osservasi il bel sepolcro di Gianalfonso Bisvallo, marchese d’Umbriatico che sotto Carlo V combatté a Tunisi.
Intanto il contiguo palazzo Cuomo fu abbandonato e reso inospitale, tanto che il popolo lo credette abitato da folletti e si disse il palazzo dei monacielli.
Questa chiesa e monastero fu fondata dai primi re normanni e dal 1252 vi abitarono le monache dell’ordine di San Benedetto. La chiesa fu poi dotata di ricchi poderi dalla Regina Maria, moglie di Carlo II re di Napoli, la quale fu seppellita nella detta chiesa in un sepolcro di candido marmo. Verso la fine del secolo XVI le monache restaurarono il monastero racchiudendo in esso l’antica chiesa, che da forme gotiche divenne per abito e per professione religiosa francescana.
La chiesa è sia per le pitture sia per i paramenti una delle più nobili e magnifiche della città di Napoli. Nell’interno della chiesa, a una sola navata, si consideri primariamente la tavola sul maggior altare dipinta da Giovan Filippo Criscuolo da Gaeta, discepolo di Salerno. Vi si osservano nei piedistalli dei pilastri della navate della chiesa alcuni lavori di finissimi alabastri. L’altare elegantissimo è di verde antico e metalli dorati. Il coro grande sopra l’altare maggiore fu ornato di pitture dal Solimena.
Nel campo di Carbonara si tenevano giostre e tornei assai cruenti e re Carlo II d’Angiò quivi fece elevare un castello per meglio assistervi. Il castello fu poi donato da Roberto d’Angiò a Landolfo Caracciolo, riservandosi di adoperarlo ogni qualvolta in quel luogo si svolgevano giostre e tornei.
Nel 1584 Giovan Antonio Caracciolo principe di Santobuono comprò quel che restava del castello e unito alle altre sue case formò il grandioso Palazzo Caracciolo Santobuono. Lo splendore di tale dimora ebbe fine sessant’anni dopo, quando la plebe mise in fuga i signori che l’abitavano. Enrico Lorena duca di Guisa ridiede grande fasto al palazzo fino al giorno in cui dovette rassegnarsi all’idea di non diventare sovrano di Napoli e lo abbandonò. Il palazzo ospitò financo il principe d’Elbeuf di Lorena, comandante del reggimento austriaco e scopritore degli scavi di Ercolano e Pompei.
La memoria tangibile di Annalisa Durante è Piazza Forcella, teatro del popolo, luogo di incontri culturali, dove la passione per la verità e l’ascolto della memoria uniscono gli uomini e la loro esperienza in un incontro costante.
La dimensione della cultura svela la fatica e la bellezza dell’esperienza umana in una continua ricerca della verità per ricordare all’uomo che nasce dal bello e dal giusto e prosegue nel suo tempo.
Nell’anno 1602 fu eretto questo pio luogo da alcuni gentiluomini napoletani di pia e santa intenzione per esercitarvi tutte le opere della misericordia.
Li Signori Governatori dispensano ogni anno molte migliaja di docati a poveri vergognosi.
Nella Cappella si vedono tavole assai nobilmente dipinte, fra le quali è stimatissima quella dell’altare maggiore, opera del famoso Caravaggio, che esprime la misericordia come sentimento di comprensione e compassione.
Si mirano anche le pitture di Jusepe de Ribera, Luca Giordano e Francesco De Mura.
Sotto il Portico avanti la porta, da una parte e dall’altra, sono due statue di bianco marmo; l’una della quali rappresenta la Carità, l’altra la Misericordia.
Nel mentre che veniva restaurato il tempio dell’Annunziata dopo l’incendio occorso nel 1757, Vanvitelli costruiva un gioiello della sua arte: la chiesa inferiore o succorpo.
La chiesa fu benedetta il 24 dicembre del 1764 alla presenza del Duca di Sorito. Questa è a pianta rotonda e corrisponde alla cupola della chiesa superiore dalla quale, da una buca circolare ricoperta da un reticolato ben lavorato di ottone massiccio, prende luce. Possiede sedici colonne in granito d’ordine dorico disposte a due a due nella zona centrale. Fra le due coppie di colonne, sul muro di fondo, vi sono i due altari maggiori che si fronteggiano e, a croce di questi, vi son le porte di ingresso che danno sui due cortili della Casa.
Sul pavimento e sul muro vi sono le antiche sepolture a cui nel tempo altre si aggiunsero.